Un racconto che ci lascia sbigottiti in questo periodo in cui vaccinarsi è un importante priorità.
Protagonista di questa triste storia è il giornalista 64enne Maurizio Karra, che girava il mondo in camper per realizzare reportage di fotogiornalismo pubblicati sul sito Le vie del Camper.
Karra aveva ricevuto la sua prima dose di vaccino ma qualcosa è andato storto: è stato colpito da una trombosi che alla fine lo ha portato all’amputazione dell’arto inferiore.
Anche se non è possibile stabilire con certezza la correlazione tra la vaccinazione e i suoi problemi di salute, il 64enne chiede comunque di essere ascoltato: “Vorrei giustizia”.
E infatti, come raccontato da livesicilia.it, si è appellato all’Azienda sanitaria provinciale di Palermo. Quando gli viene chiesto cosa gli faccia più rabbia adesso, lui risponde: “Essere una di quelle vittime dimenticate del vaccino Astrazeneca. Su questo vaccino hanno detto tutto e il contrario di tutto. È chiaro che siamo di fronte a una situazione di estrema gravità. Il fatto che anche l’Asp non fornisca una risposta è gravissimo. E anche il fatto che una commissione medico legale esamini dopo un anno e mezzo le richieste di invalidità, ma ciò accade solo in Sicilia”.
Karra, poi, ha raccontato nel dettaglio com’è stata la sua esperienza col vaccino: “Sono stato vaccinato nel mese di marzo, ho scelto di farlo subito, insieme a mia moglie. Ci occupiamo di turismo e per noi sarebbe stato basilare superare il pericolo di questa pandemia continuando a lavorare. Sapevo che il vaccino Astrazeneca era già discusso, quando è stato il mio turno nell’hub vaccinale della Fiera, ho chiesto al medico di avere il vaccino Pfizer, che si riteneva, allora, un po’ più sicuro dell’altro. Purtroppo non soffrendo di patologie particolari mi hanno inoculato Astrazeneca”.
Poi racconta cosa è accaduto dopo.
“Inizialmente alcuni fastidi, dopo alcuni giorni ho iniziato ad accusare forti dolori.
Un aumento dei dolore al piede, un annerimento delle unghie. È emersa la necessità di esami più approfonditi. Si era formato un blocco in una arteria, appena dietro il ginocchio, che impediva la possibilità di far defluire il sangue. Questo ha provocato una mancanza di ossigenazione delle parti finali”.
“Quando sono andato al pronto soccorso di Villa Sofia sono stato scaricato in codice verde, sono andato al Civico e hanno compreso la gravità della situazione.
Il pomeriggio stesso hanno tentato il primo intervento. Ne ho avuti 6 interventi. Scoprivano sempre trombosi, dopo i primi risultati positivi, trovavano nuove ostruzioni e se ne formavano altre. Venti giorni di operazioni”.
“Ho seguito con grande lucidità tutto il percorso chirurgico. Poi il primario mi ha detto che era necessario salvare la mia vita.
Ho dato la mia autorizzazione all’amputazione, hanno chiamato mia moglie, per avere l’autorizzazione, data la terribile situazione in cui ero precipitato. A quel punto mi sono ritrovato in una situazione di emergenza psicofisica e burocratica. Al di là di tutte le cure che ho avuto anche grazie all’assistenza dell’Asp e a una dottoressa di altissimo profilo, Rita Abate, mi sono scontrato con tutto il resto della burocrazia dell’Asp, che non mi ha mai comunicato nemmeno se potevo o no, fare una seconda dose di vaccino”.
Il giornalista però chiede giustizia per quanto accaduto.
“Vorrei riuscire a non mandare nessuno in galera. Credo che non ci sia dolo tra i medici. Però è chiaro che le risposte le vorrei. Poi chiaramente deciderò. Chiedo giustizia in termini informativi, lo dico da giornalista. Anche in questo senso c’è molta carenza informativa. Si parla sempre di quel caso su 100mila che accada. Ma forse non è così, se tante persone che ho incontrato, io ne conosco 6 o 7”.