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La proposta di Bonomi: “Per rilanciare il paese, salari più bassi al Sud e più alti al Nord”


Il Presidente della Confindustria Carlo Bonomi, ha dichiarato che, per rilanciare il paese, è necessario abbassare il salario al sud e aumentare quello al nord. Si dovrebbe mirare insomma a incrementare lo stipendio lì dove c’è una produttività maggiore, ovvero nelle regioni del Nord, tagliando quelli delle regioni meridionali.

Bonomi inneggia ad un ritorno delle vecchie gabbie salariali; le gabbie salariali sono un sistema di calcolo dei salari che mette in relazione le retribuzioni con determinati parametri quali, ad esempio, il costo della vita in un determinato luogo.

In Italia, il sistema delle gabbie salariali è stato in vigore tra il 1954 e il 1969

Secondo il rappresentante della Confindustria costituirebbe un elemento di cambiamento in grado di favorire la ripartenza del Paese.

Alzare il salario lì dove la vita è più cara, diminuendolo lì dove il costo della vita è più basso, senza considerare le grosse difficoltà del mezzogiorno, privo di sanità adeguata, con scarsa industrializzazione e settore terziario poco sviluppato.

Così Bonomi: «Siamo una nazione ferma da venticinque anni sulla produttività. Il Paese non è omogeneo nelle sue caratteristiche di produttività, tra Nord e Sud esistono delle differenze. Risultato? La contrattazione centralizzata anziché mantenere una minor differenza finale, nella realtà colpisce molto il salario reale. Ho sempre sostenuto che lo scambio deve essere salario-produttività e non salario-welfare».

«In Germania hanno lasciato la possibilità di una contrattazione molto forte di secondo livello legata alla produttività territoriale e questo ha permesso loro di avere una capacità di reddito parametrata alla produttività di territorio e quindi di avere una capacità di economia reale molto più forte della nostra».

Maurizio Landini non è d’accordo con Bonomi: «Insisto sui contratti nazionali non perché siano alternativi alla contrattazione aziendale ma perché nel nostro Paese noi siamo fatti anche di tante piccole medie imprese e il contratto nazionale rimane lo strumento che è in grado di dare risposte a tutti e di alzare e unificare il livello di qualità in senso generale. Tra quest’anno e il prossimo ci saranno dodici milioni di lavoratori pubblici e privati alle prese con il rinnovo del contratti. È ora di investire sul lavoro per battere il Covid-19».

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