Alimentazione

L’etichetta “cancerogeno” sul caffè? I produttori dicono: “meglio di no”

Il caffè è la bevanda più amata dagli italiani ma, nel corso degli anni, ha incontrato un bel pò di ostacoli.

Se il caffè è arrivato sui banchi d’accusa, identificato come cancerogeno, un motivo ci sarà e diverse associazioni di consumatori vogliono che il consumatore sappia quali sono gli effetti collaterali di ciò che mangiamo o beviamo.
Insomma, riferire al consumatore i rischi legati a un prodotto è corretto, ma non sempre le etichette sono la strategia migliore per indirizzare verso scelte salutari.

Arriva dalla California la sentenza di di un Giudice che ha stabilito che tutti coloro che vendono caffè, saranno obbligati, se hanno sede nello stato del surf e della Silicon Valley, ad apporvi un’etichetta che indichi che si tratta di una sostanza potenzialmente cancerogena.

Grande scalpore e indignazione arriva da coloro che amano il caffè e bevono una gran quantità di tazzine al giorno.

Ma il caffè è davvero cancerogeno?

Gli esperti della commissione hanno condotto una revisione dettagliata di più di 500 studi sugli effetti del caffè sulla salute, concludendo che non ci sono evidenze scientifiche per considerarlo cancerogeno – declassandolo cioè alla categoria 3 della classificazione IARC. Nel 1991, l’organizzazione aveva inserito l’espresso nel gruppo 2B, perché sospettato di un legame con il cancro alla vescica.

Il motivo per cui il caffè è identificato come cancerogeno nasce da 2 diverse cause: la sua tostatura (quindi dalla sua qualità) e dalla temperatura con cui lo beviamo.

Le bevande consumate a temperature così alte, dicono gli esperti, possono causare piccole lesioni e infiammazioni al cavo orale e quindi essere collegate al rischio di tumori all’esofago. Per questo motivo sono state inserite nella categoria 2A, quella degli agenti “probabilmente cancerogeni” (come la carne rossa). Sotto la lente è finito anche il tè, nelle modalità in cui è servito in alcune parti dell’Asia centrale, di Cina e Giappone.

 

Riguardo alla tostatura, la situazione diventa più complessa: 

La sostanza incriminata, nello specifico, è l’acrilammide, considerata un probabile cancerogeno per l’uomo. L’acrilammide si trova nel caffè perché viene prodotta in modeste quantità durante la tostatura dei chicchi, ma si forma anche nella tostatura dei cereali e nella cottura ad alte temperature di alimenti contenenti amido, come patate, pane e biscotti.

Esposizioni alimentari da caffè non sono state associate ad aumentato rischio di tumori. Per precauzione i grandi produttori di cereali tostati (corn flakes e affini) o chips hanno ridotto la temperatura di preparazione onde evitarne lo sviluppo. Non è chiaro se ciò sia possibile anche per la tostatura del caffè. Peraltro il caffè non viene consumato direttamente, come le patatine, ma è un infuso. Di conseguenza, i possibili livelli di esposizione sono ancora più bassi.

L’Autorità europea per la sicurezza a alimentare (EFSA) ha proposto come valore di riferimento per l’acrilammide una dose giornaliera di 170 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo: superare questa dose aumenterebbe (in misura lieve) l’incidenza di tumori. Secondo una ricerca portoghese, un espresso contiene circa 30 microgrammi di acrilammide. Perciò, considerando solo l’acrilammide contenuta nel caffè, il rischio di tumori per un uomo adulto di corporatura media (70 kg) aumenterebbe solo se bevesse 400 tazzine di espresso al giorno.

Inutile la sentenza del giudice quindi che vuole “infangare” il nostro amatissimo caffè. Bere caffè aiuta il corpo e l’anima, basta non esagerare.

Fonte consultata: AIRC.it news