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Poliziotto malato di tumore al cervello: «Devo risarcire 310mila euro per una cosa che non ho fatto». E scrive a Mattarella: «Presidente mi aiuti»

E’ arrivata diverso tempo fa una lettera al Presidente Mattarella: parole di disperazione di un uomo con un tumore al cervello, a cui è già stato pignorato parte dello stipendio e che deve risarcire 310mila euro.

Luca Buttarello è un poliziotto di 55 anni, in servizio alla questura di Padova che ha scoperto di avere un tumore maligno e raro al cervello che lui addebita alle «preoccupazioni maturate in anni di preoccupazioni e sofferenze», tumore che secondo il suo parere deriva dalla sofferenza e da quel  peso insopportabile che ha si trascina da quasi trent’anni» ovvero dover risarcire una somma pari a 310 mila euro.

Per questo motivo ora Buttarello ha scritto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiedendo aiuto.

Il tumore e il peso del risarcimento: la storia

Luca è convinto che il suo tumore sia dovuto alle sue preoccupazioni perenni «di 27 anni di ansie, sofferenze, notti insonni ed esborsi di denaro per tentare di difendermi con infiniti rispetto e pazienza ‘nel’ sistema processuale (penale, contabile e disciplinare)».




Tutto inizia il 31 marzo del 1992 quando Buttarello si trova a intervenire alla stazione metro di Milano. Durante un fermo di Polizia per l’identificazione di una persona, sarebbe partito un calcio al basso ventre del fermato.

A sferrare il calcio,  non è staro Buttarello, ma un collega. Partono le denunce e a seguire ci saranno una serie di processi: nonostante lui si è sempre dichiarato «estraneo ai fatti», la Corte lo condannò ad otto mesi di reclusione. Il motivo? «Per non aver impedito il calcio sferrato dal collega» che costò alla vittima l’asportazione di un testicolo. Viene stabilito anche un risarcimento: oltre 300mila euro a titolo di danno che il ministero ha ritenuto di riconoscere ed elargire alla parte lesa.

«Per ora mi è stato pignorato un quinto dello stipendio ed ipotecata la casa di famiglia a me intestata, un vecchio immobile frutto esclusivo di una vita di lavoro del mio stimato padre ultra-novantenne – scrive a Mattarella il poliziotto -. Aldilà della verità fattuale così come ricostruita dai Tribunali, mi sento come un fusibile a basso amperaggio di un circuito elettrico chiamato a sobbarcarsi da solo, in virtù del principio solidaristico, un importo da capogiro che faccio perfino fatica a pronunciare e di cui non ho alcuna disponibilità».




Nel processo era stato pattuito che il pagamento fosse suddiviso tra tutti i poliziotti denunciati quel giorno, in quell’episodio ma solo Buttarello risultò “solvibile”, ovvero in grado di pagare. E così negli anni, tra ricorsi e interessi crescenti la cifra è cresciuta alla cifra attuale.

Per la Corte che giudicò l’imputato, assieme agli altri agenti, «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo» e così ritenne che ci fu una condotta omissiva da parte di Buttarello.

E ora Luca è da solo contro tutti e con un tumore che cresce nel suo cervello. «Un anno fa Fsp con altre sigle sindacali ha ritenuto di segnalare al Ministero dell’Interno e al capo della Polizia Franco Gabrielli la tragedia umana e giudiziaria del collega Luca Buttarello – spiega Maurizio Ferrara, vicario regionale del sindacato Fsp -. Il tempo trascorso, il silenzio serbato alla nostra denuncia e l’assenza di una risposta, ci induce a sostenere con maggiore convinzione la situazione del nostro collega. Ci batteremo fino in fondo per aiutarlo in questo suo difficile percorso».




«Con grande orgoglio – si legge nella lettera a Mattarella – servo il mio Paese da 35 anni e non mi sono mai risparmiato ma, piombato ora in una insidiosa condizione di sconforto e dopo avere invano bussato ad alcune porte istituzionali, ho la necessità di rivolgermi alla più alta carica dello Stato per avere un po’ di attenzione». E ancora: «Dentro il mio cervello si è sviluppato un raro tumore, una neoplasia maligna contro cui sto cercando di combattere con tutte le mie forze e con le risorse economiche miserabili di cui dispongo».

«Ho motivo di ritenere che la malattia che mi ha colpito altro non sia che il velenoso frutto di 27 anni di preoccupazioni e sofferenze, notti insonni ed esborsi di denaro per tentare di difendermi da processi e situazioni difficili che hanno costellato la mia professione».

Luca ora ha una casa donata dal padre ormai pignorata come lo è anche un quinto dello stipendio.

«Non trovo dentro di me la forza di combattere per sopravvivere ad un tumore e, contemporaneamente, portarmi un fardello debitorio del genere sulle spalle, sarebbe meno complicata e dolorosa la pena di morte». Una lettera che per ora è rimasta senza risposta e ci auguriamo che qualcuno possa aiutare vivamente questa povera vittima della Legge.