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“Scusatemi figli miei ma voglio morire…”, i messaggi lasciati dai pazienti Covid prima dell’addio, scritti sulle riviste

“Scusatemi figli miei ma voglio morire…”, questi sono i messaggi lasciati dai pazienti Covid prima dell’addio, in cui si mette in evidenza la sofferenza provata durante il ricovero. Molti di loro hanno appuntato sulle riviste della Settimana Enigmistica le frasi destinate ai loro famigliari.

Le frasi ritrovate dagli infermieri, rappresentano le testimonianze di tutti coloro che hanno vissuto questo dramma e purtroppo, alcuni di loro non ce l’hanno fatta.

In un intervista ad una psicologa, emerge la triste realtà vissuta da questi pazienti: “La solitudine di quei momenti è terrificante. Io faccio di tutto per alleviarla, anche le carezze ai piedi ‘su mandato’ dei parenti”.

Le parole riportate velocemente sulle riviste, con scrittura poco chiara, sono le ultime frasi scritte per i figli e mariti o mogli. Vivere molti giorni in ospedale, chiusi come in un bunker, non è facile. Occhi tristi, pianto continuo, poca forza per combattere.

Nell’immagine all’inizio del testo, è scritto l’ultimo messaggio di una 70enne che era ricoverata nel reparto covid dell’ospedale Vannini, al Casilino.

La donna non risponde all’ossigeno terapia né ai farmaci. Non vuole sottoporsi al casco “Cpap” con l’ossigeno a pressione positiva pertanto morirà poco dopo. Così, priva di cellulare e altri dispositivi, decide di dedicare l’ultimo messaggio della sua vita ai suoi figli: “Non voglio impazzire, fatemi addormentare senza risvegliarmi. Scusate figli miei, ma voglio morire dormendo”.

Un messaggio trovato dai sanitari sul bordo del letto e poi inserito nella sacca degli effetti personali da riconsegnare alla famiglia.

Al policlinico di Tor Vergata però c’è un’alternativa: la dottoressa Francesca Alfonsi, psicologa e psicoterapeuta delle Terapie intensive dell’ospedale. E’ lei che fa da tramite fra pazienti e familiari, attraverso collegamenti in video chiamata.
Riceve quotidianamente le chiamate dei familiari, non solo per fornire loro il supporto psicologico nel corso di colloqui che durano anche oltre un’ora ciascuno, ma prova a colmare il vuoto. Buca le pareti del bunker, scrive Luca Monaco.

Le sensazioni della psicologa: ” ho nella mente nomi, toni di voce, mi vengono affidati gli aspetti più intimi dei rapporti familiari. Durante i colloqui si vivono momenti di grande commozione”.
Come il messaggio di una ragazza di 27 anni fatto recapitare al padre, spaventato e stanco di lottare e che aveva rifiutato di essere intubato: “Papà non puoi mollare adesso, io mi devo ancora sposare, devi portarmi tu all’altare. Mia sorella deve laurearsi. Fatti intubare, fallo per noi, non puoi negarti questa possibilità”.
Tante le testimonianze, tristi, commoventi di chi ha affrontato questo incubo senza fine.

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