«Mi sento inerme, la situazione è grave e io non posso fare nulla per risolverla».
Queste le parole di un pediatra che sta provando ad assistere 900 bambini da casa.
Il suo nome è Mario Leggio è in quarantena fiduciaria, «una precauzione dovuta, ma sto benone», e fino alla settimana scorsa ha sempre visitato i suoi 900 piccoli pazienti a Grammichele.
Uno dei quali è figlio di un paziente risultato positivo, dopo ben tre tamponi, al coronavirus. Fino a pochi giorni fa era ricoverato a Milano, con la moglie e il bambino in quarantena.
La storia da comprendere non è semplice. Il pediatra ha riferito che «in casa di quella famiglia, lo scorso 26 febbraio, c’è stata una festicciola con 18 bambini. E poi un’altra, all’asilo, con maestre e genitori, il 3 marzo».
Il giorno dopo il pediatra ha visitato il bambino, che aveva qualche linea di febbre, e anche il padre ne approfitta per farsi dare un’occhiata. «Gli dissi subito che non mi convinceva: sintomi influenzali, ma con il respiro sospetto. Gli consigliai di fare una radiografia al torace e di non partire». Già, perché «la famiglia doveva andare a Milano per un viaggio di lavoro, legato all’attività del papà, una farmacia adesso chiusa e con i dipendenti in quarantena».
L’uomo dopo il tampone è risultato positivo e il pediatra ha avvisato genitori e scuola di tutti i bambini che erano stati alla festa. A Grammichele scatta il panico. Tutti hanno avuto paura e ancora oggi che alcuni non hanno sintomi, restano in isolamento volontario.
Il primo tampoje fatto di urgenza è stato quello per una bambina che aveva frequentato il bambino «con un neuroblastoma, in trattamento all’Oncoematologia del Policlinico di Catania». Ma la risposta di tutte le autorità sanitarie è stata: «Non si può fare, perché non ci sono sintomi».
La stessa risposta ricevuta per se stesso: «È allucinante che non facciano i tamponi ai medici. Se io fossi negativo potrei tornare a occuparmi dei miei 900 pazienti».
«Così il sistema va in tilt. Stanno sottovalutando il problema – afferma Leggio – senza garantire la prima linea, medici di base e pediatri, per arginare l’epidemia». Ieri da casa ha fatto «un centinaio di triage telefonici, mentre per le visite mi affido alla disponibilità dei colleghi». Che condividono il medesimo stato: «Siamo senza presìdi di protezione, per la tutela nostra e dei piccoli pazienti, non c’è nemmeno una mascherina di protezione».